Madonna della Stella

MIRACOLI E FENOMENI NELLA VALLE ANTICOLANA

 

«AVE Maris Stella» è il saluto che sovente riecheggia nelle devote invocazione dei fedeli che speranzosi rivolgono alla celeste Madre di Dio e che, in tal modo, vogliono attribuirle un illuminato significato di guida spirituale e perché no, ma­teriale.
Maris Stella è l'attributo mariano che la gente della valle Anticolana, da tempo, ha poeticamente espresso alla sacra im­magine del santuario alle pendici di Monte Porciano.
Un santuario oggi affacciato su una prominente balza delle falde del Monte ma che, alcuni secoli orsono, sorgeva più a nord-est, adagiato sul pendio finale del monte stesso.
L'immagine sacra, oggi custodita nella restaurata chiesetta è stata oggetto, attraverso i secoli, di alterne vicende che ne hanno determinato il suo potere miracoloso e dalla quale fiduciosi numerosi fedeli ne hanno impetrato l'intervento per le­nire le loro pene o per ottenere favori.
La storia dell'immagine, e la conseguente devozione, si per­dono nella notte dei tempi per dipartirsi nitidamente da con­vinte tradizioni che hanno probanti dati storici dalla fine del secolo XVIII come infatti si desume da un cronista anonimo dello stesso periodo.
Partendo anche da studi e documenti di contenuto scientifico storico, si può affermare che nel mentre ne resta confermata la validità sacra dell'immagine, ne scaturiscono elementi gene­tici sorprendenti ed affascinanti ad un tempo.
Orbene, devesi innanzitutto ritornare a ritroso del tempo di alcuni secoli ed immaginarsi l'anticolano paesaggio, ancor pr"- vo di intensi e civili insediamenti abitativi, ma denso di una asprezza naturale in cui proprio l'insalubrità paludosa delle ri-stagnanti acque facevano rifugiare i pochi pastori e agricoltori sulle circostanti alture.
La conca anticolana trovasi racchiusa nel tratto della catena dei Monti Ernici che si incunea tra il Sacco ed il più importan-te dei suoi affluenti, il Cosa.
Il perimetro della conca è lungo approssimativamente 46 Km. e presenta un andamento irregolare e frastagliato, tuttavia può abbastanza paragonarsi ad un triangolo rettangolo col cateto maggiore diretto secondo il meridiano e l'angolo retto aperto a libeccio. L'ipotenusa di questo triangolo si estende da M. Pila Rocca al Monticchio, separando la Conca di Fiuggi dalla Valle del Sacco e dei due cateti, il minore, la divide da questa valle, dal piano dell'Arcinazzo e dal bacino dell'Aniene, il mag-giore, dalla Valle del Cosa, essi si riuniscono alle falde occidentali della Monna Bianca, sul punto più elevato del perimetro (m. 1.200 s.l.m.).
Questo perimetro racchiude un'area di quasi 70 Kmq., per la maggior parte montuosa e solo per poco più di un quinto occupata da terreni pianeggianti od appena lievemente ondulati.
Il ristretto altopiano termina d'ogni intorno, più o meno bruscamente contro le pendici montuose o collinose che lo cingo-no e per la presenza di una serie di alture fra il Monte Porciano e il Comune di Trivigliano si trova diviso in due parti non comunicanti fra loro se non in corrispondenza della Madonna della Stella mediante uno stretto sottopassaggio che permette alle acque della conca settentrionale, più vasta e più propria-mente detta di Fiuggi, di passare in quella meridionale o di Canterno, così chiamata dal nome del lago che ne occupa la parte più depressa.
Proprio all'imboccatura di questa strettoia si estendeva una propaggine rialzata delle pendici di Monte Porciano, costituita da accumuli arenari e calcarci di origine alluvionale e su que­sta propaggine, intorno al secolo X, quando le acque ristagna­vano su tutta la valle anticolana ed in concomitanza delle scor­rerie barbariche, fu costruito un rifugio che era utilizzato so­prattutto da pescatori e , di volta in volta, da osservatorio del- le varie bande armate in movimento.
Col passare dei tempi la modesta costruzione andò ampliandosi con più aggregati tanto da servire anche da rifugio durante le troppo spesso ricorrenti epidemie di colera e di pe­ste che purtroppo affliggevano la società medievale.
In virtù di tale funzione di difesa sanitaria, i Cavalieri Tem­plari nel secolo XIII ne fecero una «parva domus» dipendente da quella più maestosa della Contrada S. Lorenzo e dalla qua­le potevasi controllare a vista d'occhio.
Il possesso della «parva domus» subì le alterne vicende del travagliato periodo pontificio di Bonifacio VIII dei Conti Ca­jetani di Anagni, avversato dai Colonna e, soprattutto da Fi­lippo il Bello re di Francia, il quale nel 1311 riuscì a convin­cere il Papa Clemente V, allora ad Avignone, a sopprimere l'ordine dei Cavalieri Templari.
Naturalmente i beni dei Templari, protetti da Bonifacio VIII fino alla sua morte avvenuta nel 1303, con la distruzione e persecuzione dell'Ordine, anch'essi subirono la stessa sorte, dalla quale non ne furono risparmiati quelli di Anticoli in Contrada S. Lorenzo ed in Monte Porciano.
Il monastero di S. Lorenzo fu incendiato a causa dell'acca­nita resistenza opposta dai Templari rinchiusisi all'interno, mentre la «parva domus» di Monte Porciano fu confiscata e attribuita all'Ordine degli Ospitalieri.
Per un certo periodo la «Parva domus» continuò a crescere tanto da rappresentare la stella luminosa di tutto il contado e ad essa si dirigevano gli afflitti pellegrini in cerca di pace spirituale e di risanamento corporale.
Divenne tappa d'obbligo di quanti attraversavano la valle anticolana per i loro traffici commerciali o per i movimenti militari e fu proprio durante uno dei passaggi armati di bande di lanzichenecchi che fu lasciata, chissà come, un'immagine di Maria che venne conservata dai monaci e subito appellata «Madonna della Stella» in ossequio alla parva domus divenuta la stella luminosa della Conca.
Sulla scorta dell'immagine ne fu altresì modellata una copia direttamente sulla viva roccia e che ancor oggi può essere osservata, molto consunta, da chi avesse l'abilità di raggiun-gere l'impervia primigenia località, arrampicandosi sullo sconnesso pendio cosparso e ricoperto dall'antiche rovine della parva domus.
Ebbene, l'immagine sacra di Maria fu un altro motivo di richiamo ancor più rafforzato dalla vittoria cristiana di Lepanto del 1571 sui turchi, propiziata dalla protezione mariana, tanto da far sorgere in Anticoli altra cappella dedicata alla Madonna della Vittoria in Località, poi denominata, «Terconia» ovvero Tre Cone, perchè cappella con tre altari e con tre Icone.
Lo stesso Marcantonio Colonna, al quale Papa Pio V concesse il castello di Anticoli, volle inaugurare la chiesetta nel 1572 ed in processione volle recarsi anche alla Stella che da allora di-venne il Santuario di tutta la valle.
Il Santuario continua a prosperare fino agli inizi del 1600, fino a quando cioè le acque dei sottostanti laghi non comincia-no a subire, a causa di un lento e periodico movimento sismi-co, strani fenomeni di scomparsa e ricomparsa.
Ancor oggi infatti il Lago di Canterno viene chiamato il lago ballerino proprio per le sue periodiche bizzarie di variabilità.
Trattasi infatti di fenomeno carsico che, per i suoi caratteri essenzialí, fa presentare Canterno come un lago di dolina.
Come si vede chiaramente dalla mappa della Baronia di Porciano del 1778, ricavata da altra redatta nel 1734 dal geometra C. B. Nalli, in quel periodo il lago di Canterno non esisteva affatto. Il fosso del Diluvio e quello delle Cese, dopo essersi riuniti alquanto più a monte che non ora, non manda-vano le loro acque nella conca meridionale, ma le scaricavano in un ínghíottitoio esistente sotto la Madonna della Stella e denominato lo Sgolfo, Bocca di Muro, Grotta dei Canonici. Pare che allo smaltimento delle acque della conca settentrionale contribuisse anche qualche spaccatura ai piedi del Colle Cornìano, presso la grotta, ora occultata dai depositi fangosi del suolo. A quel tempo la plaga oggi occupata dalle acque del lago era tutta coltivata salvo che nella porzione più depressa ai piedi di monte Maìno dove, nella viva roccia, si apriva una grande fossa che faceva capo ad un altro inghiottitoio, il Pertuso, che ingoiava le acque dei monti circostanti.
Dalle concordi tradizioni locali, confermate da relazioni ma-noscritte, della prima metà del secolo scorso, risulta che un tale stato di cose continuò fin verso il 1821, a partire da quell'anno lo Sgolfo in seguito ai continui apporti di pietrami, terre, avanzi vegetali ed animali, per opera delle acque che vi precipitavano, andò progressivamente otturandosi per cessare affatto di funzionare pochi anni dopo.Dall'istante che esso divenne insufficiente allo scolo delle acque dei fossi delle Cese e del Diluvio, una parte sempre mag-giore di queste fu costretta a proseguire verso sud, spingendo-si nella stretta di Corniano e da questa nel bacino meridionale per unirsi alle acque che si incanalavano nel Pertuso. Questo, dovendo così smaltire una quantità d'acqua incomparabilmen­te maggiore che non in passato, cominciò a sua volta ad ostruir­si, perché alla copia e veemenza delle acque che vi si versava­no erano pure cresciuti la quantità ed il volume dei materiali che essi trascinavano, tanto più che nel frattempo avevano avuto luogo importanti dissodamenti nelle circostanti pendici. Ripetuti tentativi per assicurare il regolare funzionamento del­l'inghiottitoio non diedero risultati apprezzabili, cosicché in corrispondenza del Pertuso non tardò a formarsi un'importan­te raccolta d'acqua: l'attuale lago di Canterno.
Ma questa ingente massa liquida con le sue infiltrazioni pro­duceva naturalmente un progressivo indebolimento del dia­framma che ostruiva l'emissario, cosicché esso ad un dato mo­mento non potendo più opporre una sufficiente resistenza alla pressione esercitata dall'acqua sovraincombente, doveva di ne­cessità cedere e sprofondarsi, permettendo alle acque di inva­dere nuovamente il condotto finché nuovi materiali non venis­sero un'altra volta ad ostruirlo; iniziandosi così una serie di al­terne scomparse e ricomparse del lago ad intervalli irregolari.
Nei primi tempi questi intervalli erano brevi e frequente il deostruirsi dell'emissario; essi però andarono facendosi sempre più lunghi; evidentemente perché nelle successive deostruzioni dell'emissario non sempre le acque poterono spazzar via tutto il materiale accumulatosi e la sezione dell'emissario rimpicciolen­dosi rese possibile la formazione di diaframmi sempre più resi­stenti.
Nel settembre del 1913, il lago completamente prosciugato, fu studiato minuziosamente dal Prof. Camillo Crema, geologo, precisando che esso si presentava come un gigantesco imbuto disimmetrico allungantesi fra il M. Corniano ed il M. Maino e col vertice a poca distanza dalle falde del secondo; come già era noto per un rilievo batimetrico eseguito dal De Agostini.
Esso è in gran parte a lieve pendio e costituito dai sedimenti del lago; solo in corrispondenza della sua parte più depressa si trasforma in un profondo solco circoscritto da erte pareti rocciose ed accessibile soltanto dal lato nord, dove è limitato da un pendio meno ripido. Questo solco è aperto nei calcari miocenici i quali evidentemente si ricongiungono sotto le arenarie della stessa età e le formazioni quaternarie della pianura dei Pantani con quelli compaiono poco più a nord, nei colli Corniano, Jove e Vasciano.
All'estremità del solco, ai piedi del suo fianco occidentale si apre la bocca dell'emissario sotterraneo. Quest'apertura, in forma di porta è alta circa m. 2,50 e larga ad un dipresso m. 1,50; essa introduce in un corridoio di sezione e forma poco diverse, che con direzione est-ovest ed una leggera pendenza sbuca dopo pochi metri presso la volta di una piccola grotta, parzialmente interrata.
Il lago allora ridotto ad un modesto ruscello, entrato nell'emissario, dopo aver percorso il breve corridoio, ora descrit-to, attraversava la piccola grotta e spariva nell'interno dando luogo ad una cascata di discreta altezza come si poteva argui-re dal rumore della caduta dell'acqua.
La descrizione del Crema lascia chiaramente capire quali dovessero essere i mutevoli regimi idrici della conca e quali, fenomeni tettonici ne dovessero essere connessi e fu infatti a causa di questi continui riempimenti e svuotamenti dell'alveo lacustre che la propaggine arenaria, sulla quale sorgeva il Santuario, rovinò a valle distruggendo l'antico splendore della parva domus, lasciando però inalterato il richiamo reli-gioso nella devota gente anticolana che, nonostante tutto volle ricostruire sulle antiche rovine una più modesta chiesetta. Ne è conferma una cronaca anonima del XVIII secolo che così sì esprime:
«Nel mese di aprile del 1690 Felicita Colarossi , onesta zitella d'Anticoli, sentivasi ispirata di fare orazione alla B. Vergine non in altro loto di casa sua, che in una finestra dirimpetto al Monte di Porciano. Interrogata sopra di ciò da suoi domesti­ci rispondeva che ivi stava la Madonna.
Né guarì andiede a disvelarsi lo scopo di quella venerazione, poiché un tale Antonio della città di Alatri conducendo per quelle vicinanze una giumenta carica di pentole, s'incontrò a passare un torrente d'acqua chiamato la Morra, che ristagna da quelle pendici. Né avvedutosi che era ingrossato dalla piog­gia, spinse la bestia per farla passare a guazzo, ma appena en­trata cominciò ad annegarsi. A quest'accidente come restasse il povero Antonio può immaginarselo chi considera che era pericolante il sostegno della sua famiglia! Invocando però l'aiu­to di Maria SS.ma, ode una voce che dissegli: «Comanda nel nome di Maria, che svanirà ogni pericolo». E così avven­ne; ed in osservando poscia da dove fosse venuta quella voce, gli si fé in contro Sebastiano Ambrosj d'Anticoli che poco da lungi pascea il sito gregge, ed assicurollo che la voce era usci­ta dalle balze di sopra, e perciò volle andarvi per vedere chi si trovasse in quelle boscaglie, ed arrivato non senza stento ad un grosso macigno, v'osservò una maestosa Immagine di Nostra Signora coll'iscrizione intorno: «Ave Maris Stella». L'a­dorò umilmente, e conobbe che con quella voce avea chiama­to i Fedeli ad apprestarle una convenevole stanza.
Ritornato la sera alla sua patria, pubblicò da per tutto aver trovato nel Monte Porciano una bell'effigie della Madre di Dio, e d'aver udita la voce articolata della medesima, e sul mattino si spopolò Anticoli per andare a visitarla: ed impetrandosi dà divori molte grazie, s'adunarono delle limosine, colle quali fabbricossi la chiesa che nella domenica dentro l'ottava del­l'Assunzione dell'anno 1695 fu benedetta da Bernardino Mas­seri Vescovo Anagnino
Nella notte seguente alla festa della Concezione, cioé addì 8 dicembre 1772, una pioggia torrenziale, in mezzo al coruscar de' lampi ed al fragor del tuono, travolse dalla rupe superiore una quantità di sassi, ruinando la chiesa ed uccidendo l'ere-mita fr. Antonio, ma non toccò la cappella in cui si venerava la S. Immagine.
Si pensò allora di segare l'antichissima pittura della Vergine sostenente in seno il Divin Figlio, eseguita sulla viva rupe, e trasportarla nel luogo ove dovea sorgere la nuova chiesa al principio delle praterie verso Anticoli.
Tuttociò si fece con solenne processione addì 24 ottobre 1773, e la S. Effigie rimase esposta alla pubblica venerazione in un tugurio di legno, finché per le assidue premure del canonico D. Massimo Terrinoni, Vicario foraneo di Anticoli, non si costruì il nuovo Santuario. La prima pietra fu gittata ne' fondamenti e benedetta dall'arciprete di Anticoli D. Domenico Gerolami nel 1774 coll'autorizzazione di monsignor G. B. Fílipponi-Tenderini Vescovo di Anagni».
Quanta poesia nella cronaca anonima!
Poesia si, ma anche radicato senso del sacro che investiva l'individuale e collettiva coscienza del tempo, condizione in-dispensabile perchè «il miracolo» avvenga ed esista anche se, di contro, la coscienza scientifica moderna, tutto trasferisce al comprensibile ed alla giustificazione di altre leggi naturali.
L'onesta zitella anticolana e Antonio d'Alatri, protagonisti dell'anonima cronaca miracolosa, stanno ad indicare il mezzo di una ierofania del sacro, attraverso il quale il misterioso disegno divino, chiamava le genti bisognose di credere per la assenza di più validi e profondi motivi culturali di fede che non fossero quelli visibili «atque mirabilia ad narrandum».
Felicita ed Antonio vedono, odono e subiscono il miracolo trasmettendolo ad altri come un contagio ancor più forte di quello epidemico ed il vero miracolo sta proprio in questo contagio che lascia credere attraverso l'esperienza altrui, lascia credere perché inconsciamente ognuno sente il bisogno di «una stella» che lo guidi e lo illumini.
Oggi d'altronde non ci sono più «stelle» divine esse sono state sostituite da «stars» e lo stesso divino è stato soppian­tato dal «divo».
Ma in fondo quale è la differenza tra ieri e oggi?
Forse nessuna. Si è propensi ad affermare di prim'impeto, ma ahimè! ce n'è un abisso.
Ieri era l'incessante anelito insito nella natura genuinamen­te umana che tendeva a ritornar alla fonte della creazione che è di incontrovertibile origine divina, oggi il disumanizzante progresso tecnologico, voluto dall'uomo stesso, ci ha fatto di­menticare la nostra essenza individuale ed umana spingendoci verso fatui modelli al servizio delle macchine e del sistema consumistico, verso cioè prodotti di concezione di scienza uma­na, lontani dalla scienza divina.
«Panta rei». Tutto passa, tutto scorre, ripeterebbe Zenone, anche le sensazioni umane che vengono trasportate e lavate dal fiume perenne del progresso come d'altronde le stesse acque che formano il lago di Canterno che appare e scompare, che provoca crolli e impone ricostruzioni.
«Panta rei» come le stesse acque miracolose che hanno tra­sformato Articoli in Fiuggi!

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